Samurai

“I sette samurai” di Akira Kurosawa

L’iconico dramma di Akira Kurosawa racconta la storia del Giappone del XVI secolo. Un piccolo villaggio i cui abitanti vengono derubati dai banditi. Raid, razzie di bestiame, furto di cibo, violenza e incutere paura. L’attenzione del regista non si concentra sugli antagonisti, ma sulle conseguenze dopo l’esposizione. Come si proteggono i civili? Come si affronta una minaccia che si ripresenta continuamente? Abbiamo bisogno di protezione, di mercenari, di samurai.

L’accento principale del film, e allo stesso tempo il suo principale svantaggio, è la sua lunga durata. La durata di tre ore e mezza è palpabile, e la lunga azione e la rivelazione dei personaggi principali fanno la parte del leone nella visione. Comprensibilmente, per una maggiore immersione nell’epoca del Medioevo, questo focus d’azione e sarebbe stato molto appropriato, in quanto Kurosawa presta attenzione sia alla cultura e alla vita quotidiana, sia alle difficoltà nel processo di ricerca di protezione. Tuttavia, il film si concentra sui samurai e sulle loro condizioni.

Sembra molto facile e semplice trovare dei difensori (è così nell’era dei blockbuster “supereroistici”), ma il regista si concentra sui tempi, sulle possibilità. Le guerre forti sono molto rare, nessuno vuole lavorare per un’idea, un onore, una dignità, quindi la paga è molto appropriata. Gli abitanti del villaggio, uomini forti e figli coraggiosi, cercano di attirare il samurai in ogni modo possibile. Il film ritrae chiaramente la decadenza e la povertà quando non è nemmeno il denaro che interessa ai mercenari, ma almeno il loro sostentamento.

I samurai sono facili da trovare tra gli abitanti della città: si distinguono per l’uniforme, le spade nel fodero e la ricerca di un lavoro come tale. Ma come si fa a distinguere i buoni guerrieri dai ciarlatani o dai combattenti inesperti? Assegni, modalità di pagamento, ricerca di veri difensori. Trovare sette eroi è ancora metà della battaglia; un’altra cosa è che ogni samurai ha il suo punto di vista sulla protezione, le sue regole. Questa è l’eccezionalità di avere eroi rivelati. I personaggi sono sconosciuti agli spettatori, i lati “oscuri” e “chiari” di ogni samurai, ma i personaggi sono piuttosto interessanti da scoprire.

Samurai nel villaggio. In modo drammatico e un po’ ironico, gli abitanti del villaggio salutano i loro difensori, il che solleva vaghi dubbi sullo scopo dell’apparizione in città degli eleganti guerrieri. Il regista mette la vita quotidiana sulla stessa scala dell’azione, immergendo il pubblico nell’attesa dell’azione. I minuti si trascinano, i samurai vanno d’accordo con gli abitanti del villaggio, aiutano gli abitanti, addestrano i contadini deboli, ma sottolineano un punto importante: sono qui per uno scopo, non sono abitanti del villaggio, non amano questo tipo di acquiescenza.

Sullo sfondo dei preparativi per il combattimento, il film diluisce sia episodi pericolosi (il rapimento di un bambino, ad esempio) che un po’ di romanticismo (un personaggio femminile che si finge ragazzo per la propria sicurezza), mostrando così il particolare samurai in situazioni diverse rispetto alle operazioni di combattimento. Il furto del riso fa temere non per la fame dei contadini, ma per il fatto che ora non ci sarà più nulla per assoldare mercenari, da cui la ridefinizione dei valori.

In termini di struttura tecnica, il film contiene un Interludio a metà della linea temporale, una pausa che ha permesso uno split-screening e un riposo. Questo elemento di visualizzazione cinematografica era spesso prevalente negli anni ’50 e ’60, soprattutto se le sale erano piene di spettatori. La storia di Akira Kurosawa si sarebbe poi riflessa nei film western, sottolineando ancora una volta l’importanza del film nel suo complesso. La storia è quella di un villaggio in cui i banditi fanno irruzione, saccheggiano, raccolgono tutti i beni e se ne vanno, per poi tornare qualche tempo dopo a raccogliere le ricchezze di un popolo indifeso.

Finalmente, dopo due ore di schermo, si verificano gli eventi previsti. In un intervallo così lungo, si ha l’impressione che forse non succederà nulla. Forse i banditi non appariranno più all’orizzonte. Ma l’attesa ne è valsa la pena. Le scene di assedio, la brutalità dei nemici e il rifiuto dei samurai combinano magnificamente dramma e combattimento. La strategia dei samurai e dei sapienti abitanti permette di divertirsi sia con gli abili combattimenti che con le astute tecniche dei propri alleati. La superiorità numerica dei nemici è più che compensata dagli effetti della sorpresa, della difesa e dell’inganno.

Il film non idolatra gli eroi, non mostra i loro errori, i loro vizi e le loro azioni crudeli, ma coniuga pienamente il culto dei samurai, il senso della vita di questi abili combattenti e spara il dramma nel finale. “Sette Samurai” è ricco di splendide inquadrature, immagini ampie e paesaggi simbolici, il che è un grande vantaggio per un film in bianco e nero. È bello, drammatico, ma trascinante. Anche in questo caso la cinematografia non può essere assorbita in una sola volta, e alcuni episodi possono essere eliminati del tutto. Ma questa è la volontà del regista! Il padrone è il signore!